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“Scelta, contratto, consenso” di A. De Jasay, una recensione

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Contrariamente a una convinzione diffusa, la questione fondamentale e realmente controversa della politica non è la libertà, la giustizia o l’uguaglianza. Questi sono problemi derivati. La questione fondamentale è la scelta – cioè chi sceglie cosa per chi – e ciò che riteniamo vero relativamente alla scelta determina anche quale teoria politica possiamo o meno accettare. ( Anthony de Jasay, “Scelta, contratto, consenso – una nuova esposizione del liberalismo”)

Nel panorama del pensiero filosofico contemporaneo l’ungherese Anthony de Jasay occupa una posizione originale e, a suo modo, isolata. Grazie all’uso di strumenti teorici quali la teoria dei giochi o la teoria della scelta razionale la sua analisi gli consente di gettare uno sguardo sulle scienze sociali da una prospettiva differente.
Delle sue opere di filosofia politica in Italiano è stata edita unicamente, per i tipi di Rubbettino, in collaborazione con Leonardo Facco, nella collana “mercato, diritto e libertà”, “Scelta, contratto, consenso – una nuova esposizione del liberalismo”.
Il testo è diviso in due sezioni, di cui la prima costituisce una pars destruens, volta a criticare le moderne formulazioni della teoria politica liberale ( definite da de Jasay come “loose liberalism”, o liberalismo debole), mentre la seconda si prefigge di esporre una formulazione “rigorosa”del liberalismo.

A. De Jasay

Riprendendo la citazione posta in incipit a questo post, per De Jasay la debolezza della teoria politica liberale, da Stuart Mill in poi, consisterebbe nell’assenza di un’adeguata teoria della scelta collettiva.
Per De Jasay la politica stessa si risolverebbe nella definizione della soluzione di questo problema.
La scelta collettiva è, in questo contesto, una scelta di gruppo non unanime, determinata da una parte di tale gruppo di individui, definito come “sottoinsieme dei decisori”.
Il compito e la specificità di una teoria politica consiste, quindi, nel definire il ruolo, l’estensione e i limiti delle scelte collettive rispetto alle scelte individuali.
Nel Novecento, il novero delle dottrine che si sono richiamate a principi “liberali”, in senso lato, dal welfare liberalism al Social liberalism, si è via via esteso, ibridandosi e facendosi influenzare e contaminare da teorie concorrenti e, anche, contrarie; De Jasay ritiene che questo processo di progressiva “degenerazione” della dottrina liberale sia una diretta conseguenza dell’assenza di un robusto “sistema immunitario”.
In modo particolare viene fatta risalire alla figura di Stuart Mill la genesi di questo processo degenerativo, per cui all’attenzione originaria per le libertà che caratterizzava il liberalismo pre-milliano, si sostituisce, per via di uno slittamento concettuale e linguistico, una teoria incentrata sui diritti.
De Jasay, nella prima parte del libro esamina sia il “principio del danno” ( “l’unico motivo per cui il potere può essere legittimamente esercitato su un qualsiasi membro della comunità civilizzata, contro la sua volontà, è quello di prevenire un danno agli altri”), la cui indebita estensione di significato ( ad esempio nell’intendere per danno anche l’omissione di azioni tese a migliorare le condizioni altrui) lo trasforma in un principio ispiratore di decisioni politiche illiberali, che la dottrina del “liberalismo dei diritti”, che viene dimostrato snaturare l’essenza del liberalismo classico lockeano.
L’analisi di De Jasay, basata sulla teorizzazione di Hohfeld, chiarisce il significato di diritto e evidenzia come, a differenza delle libertà, ad ogni diritto garantito ad alcuni membri della società corrisponde necessariamente per alcuni altri un obbligo corrispondente.
Tale obbligo costituisce un costo e, per incrementare il godimento dei titolari di nuovi diritti, la diminuzione del payoff per chi dovrà attendere ai nuovi obblighi conseguenti non costituisce un miglioramento in senso paretiano della situazione.
Questo criterio di valutazione, legato all’efficienza paretiana, della bontà delle azioni del suddetto “sottoinsieme dei decisori” costituisce per De Jasay il criterio fondamentale di giudizio della bontà di una teoria politica.
La seconda parte del saggio, in antitesi alla prima, è la pars construens, in cui De Jasay si cimenta nel definire una teoria assiomatico-deduttiva della scelta basata su 6 assiomi.
Un punto nodale della teoria consiste nel fatto che essa ammette che possano esistere scelte collettive, pur essendo la scelta una prerogativa dell’individuo. Per giustificare queste scelte collettive non unanimi, che comporteranno, perciò, un certo grado di coercizione, De Jasay deve argomentare a favore della legittimità di codeste forme di coercizione. Un secondo punto critico della teoria è costituito dalla potenziale contraddittorietà di due degli assiomi proposti, l’assioma della Politica (“gli individui possono scegliere per sé stessi, per altri o entrambi”) e quello di non Dominanza (“scegliere significa optare per l’alternativa preferita”). La soluzione proposta da De Jasay consiste nell’accettare scelte collettive non unanimi solo nel caso in cui sia dimostrabile che comportino un miglioramento in senso paretiano, imponendo, perciò, un vincolo fortissimo alla politica.
La coercizione diviene legittima, in questo caso, solo nel caso in cui si presentino dei dilemmi sociali, nel senso della teoria dei giochi. Pur essendo questo un punto comune a molte teorie politiche, che giustificano in questi termini la produzione di beni pubblici, De Jasay nega che la produzione di beni pubblici costituisca un dilemma sociale e che implichi necessariamente una scelta collettiva.
Mi si perdonerà una breve digressione relativa all’approccio tradizionale al problema dei beni pubblici.
Per bene pubblico si intende un bene la cui produzione sarebbe vantaggiosa per ogni individuo ma tale per cui, razionalmente, per nessuno è conveniente contribuire ai suoi costi di produzione, potendo poi agire da free rider per goderne.
Se inizialmente si attribuiva la definizione di bene pubblico solo alla sicurezza interna della società e alla difesa della comunità da eventuali attacchi esterni, col tempo tale categoria di beni ha continuato a estendersi ininterrottamente, giustificando una sempre maggior pervasività dell’intervento statale, visto come l’unica soluzione paretianamente efficiente del dilemma.
De Jasay però rifiuta di interpretare la produzione di beni pubblici con la struttura del dilemma del prigioniero, vedendolo, invece, come una situazione affine a quella del gioco del falco e della colomba. In questo caso, a differenza dell’interpretazione classica, nonostante la possibilità per i giocatori di adottare una strategia da free rider, la struttura dei payoff può garantire che si possa avere la produzione volontaria di beni pubblici anche in assenza di interventi correttivi esterni.
La stessa interpretazione viene proposta anche per la creazione di norme e convenzioni sociali, che tenderebbero a sorgere spontaneamente, per de Jasay, proprio per effetto bilanciato della frequente adozione di strategie da colomba in rapporto a una scelta più infrequente di atteggiamenti da falco/free rider.
Per di più, secondo De Jasay, anche le cosiddette convenzioni satellite, ovvero le norme sanzionatorie per la violazione delle norme principali, assumono la forma di un gioco del falco e della colomba in cui la strategia collaborativa della colomba è razionalmente preferibile.
In definitiva la proposta avanzata da De Jasay in questo saggio vorrebbe giustificare la possibilità di un ordinamento liberale rigoroso e coerente in termini di efficienza paretiana, unico criterio accettabile per accogliere la possibilità di scelte collettive non uniformi e di un uso legittimo della coercizione da parte di un’entità che si assuma l’onere di provvedere all’attuazione di queste scelte.
Nonostante ciò, come evidenziato nell’introduzione al saggio da Gustavo Cevolani, traspare una notevole tensione concettuale, che non riesce a essere elusa, che parrebbe spingere De Jasay, anche contro i propri intenti espliciti verso una prospettiva più radicalmente libertaria.
Da un lato la coercizione legittima, laddove dovesse venire esercitata, non apparirebbe come volta a garantire un payoff positivo a tutti i soggetti, che altrimenti non dovrebbero essere forzati a agire contro le loro scelte.
D’altro lato i casi in cui la struttura del gioco del falco e della colomba risulta applicabile non si configurerebbero come casi di uso legittimo della coercizione, visto che la scelta individuale stessa, essenzialmente per effetto di pressione sociale, porterebbe ad adottare scelte collettive unanimi.
Infine, possiamo concordare con Cevolani quando osserva che a chi opponga argomenti morali per perorare, ad esempio, la necessità di una giustizia redistributiva, sicuramente paretianamente inefficiente, chi voglia difendere un ordinamento liberale, inteso nel senso forte e rigoroso che chiede De Jasay, non potrà che opporre una difesa sullo stesso piano morale della facoltà degli individui di esercitare scelte autonome e individuali.
Si deve però concludere che il saggio costituisce uno dei tentativi più articolati e originali di riformulazione di una dottrina liberale che si allontani da quelle forme deboli di liberalismo che De Jasay attribuisce, a ragione, ad esempio, a Rawls o a Dworkin. E per questo credo che vada giustamente reso merito a Rubbettino, all’Istituto Bruno Leoni e a Leonardo Facco per aver tradotto e pubblicato in lingua italiana per la prima volta un’opera di questo filosofo.


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