Against Intellectual Property di Kinsella mi aveva convinto dal punto di vista del principio, ossia che la proprietà intellettuale in realtà non è proprietà, ma mi aveva lasciato freddo dal punto di vista pratico, ossia le conseguenze di un mondo senza brevetti, copyright, ecc ecc. Abolire la proprietà intellettuale di Michele Boldrin e David K. Levine mi ha definitivamente tolto i dubbi sull’irrazionalità della proprietà intellettuale e su quanto questa sia deleteria.
Boldrin e Levine non sono dei pericolosi libertari, anzi, mi sembra che Boldrin abbia più volte espresso il suo “poco amore” per la filosofia libertarian. Quindi, per prima cosa, è utile dire che questo libro non si colloca tra i libri libertarian militanti che portano avanti la loro agenda contro la falsa proprietà intellettuale. Anzi, nel suo essere per forza di cose radicale (se vuoi eliminare la proprietà intellettuale sei per forza radicale), questo libro propone una exit strategy dalla proprietà intellettuale soft e per gradi al fine di non creare uno shock tra una realtà brevettabile e una nella quale non ci sono più i monopoli intellettuali. Gli autori li chiamano proprio così ed è giusto chiamarli così: monopolio. Ossia l’utilizzare lo stato per creare scarsezza dove prima non c’era.
Il libro di Boldrin e Levine è bello sotto molti punti di vista. È piacevole da leggere (non è un libro serioso ed eccessivamente tecnico) e abbonda di esempi storici di come la proprietà intellettuale sia stata deleteria e pericolosa. Si viene così a scoprire per esempio che i famosi Watt e i fratelli Wright rallentarono di fatto lo sviluppo rispettivamente della macchina a vapore e dell’aviazione usando il loro tempo principalmente più per correre dietro alle violazioni del brevetto (e bloccando lo sviluppo di macchine migliori) che a innovare ulteriormente le loro opere d’ingegno. Si scopre anche, o almeno, io l’ho scoperto leggendo il libro, che fino al 1981 il software non era brevettabile e che se lo fosse stato oggi oggetti di uso comune come il mouse forse non sarebbero di uso così comune e con così tante varianti. Ha detto Bill Gates (Bill Gates, non Linus Torvalds) che “se la gente avesse capito come si concedono i brevetti nel momento in cui la maggioranza delle idee di oggi sono state inventate, e avesse chiesto di brevettarle, il settore sarebbe entrato in una completa empasse“.
Il punto di forza di questo libro è quello di mostrare nei diversi ambiti (software, industria farmaceutica, industria musicale e cinematografica, ecc. ecc.) con esempi concreti e storici che dai brevetti non viene nessuna spinta all’innovazione e che non sono necessari alle imprese per sopravvivere e guadagnare.
Il fatto cruciale è che non si è mai realizzata la sequenza causale che ora descriveremo: essa inizia con l’adozione di una legge secondo cui «la protezione dei brevetti si estende a invenzioni effettuate nell’area X», un’area di attività economica fino a quel momento non ancora sviluppata; alcuni mesi, anni o addirittura decadi dopo l’approvazione del progetto di legge, sorgono nell’area X svariate invenzioni, che rapidamente la trasformano in un settore nuovo, fiorente e dinamico. In altri termini, non conosciamo nessun esempio, nel mondo reale, in cui l’estensione della protezione brevettuale a un determinato settore abbia chiaramente e direttamente causato la sua crescita e l’introduzione o l’adozione di effettive innovazioni.
[…] Durante gli ultimi venticinque-trent’anni la tendenza secondo cui tutto deve essere brevettabile e quindi brevettato si è consolidata sia negli Stati Uniti sia nell’Unione Europea. Eppure la lista di settori produttivi nati e cresciuti in assenza di protezione della proprietà intellettuale è veramente infinita. I servizi, in particolare quelli finanziari, legali e commerciali, non erano coperti dalla legge sui brevetti fino alla fine degli anni Novanta, quando, negli Stati Uniti, essa è stata applicata esclusivamente in settori particolari. Le industrie meccaniche e metallurgiche erano all’inizio quelle a cui la legge sui brevetti si applicava maggiormente, mentre l’industria chimica era originariamente solo in parte influenzata dal monopolio intellettuale. In Italia, i prodotti e i processi farmaceutici non furono coperti da brevetto fino al 1978: lo stesso accadde in Svizzera fino al 1954 per i processi e fino al 1977 per i prodotti. Le differenti varietà di sementi e piante non potevano essere brevettate, negli Stati Uniti, fino al 1970 e ancora non possono esserlo nel resto del mondo. Le scoperte delle scienze fondamentali – dalla matematica alla fisica e anche all’economia, ma non più la finanza, che pure dell’economia è una sottobranca – non sono mai state né possono essere brevettate. Ciononostante, un numero crescente di osservatori sta facendo notare che, almeno negli Stati Uniti, l’allarmante tendenza a concedere brevetti in modo automatico ha cominciato a influenzare in maniera negativa i risultati della ricerca di base, specialmente nelle scienze biologiche e naturali.
In definitiva, un bel libro utile per capire che c’è (più) vita e (più) innovazione oltre i brevetti. Tralasciando il fatto un po’ ridicolo e sminuente il lavoro fatto che Abolire la proprietà intellettuale di Boldrin e Levine sia © Laterza.